Patriarchi e vescovi delle Chiese ortodosse si incontreranno dopo decenni e le premesse non sono delle migliori
RAFFAELE GUERRA
ROMA
Dal 4 al 9 ottobre la Serbia ospiterà a Belgrado, Nis e Podgorica il grande meeting costantiniano per commemorare i 1700 anni dal cosiddetto Editto di Milano del 313, con il quale, secondo la vulgata, l’imperatore Costantino donò ai cristiani la libertà di culto. L’evento si configura come una grande kermesse alla quale parteciperanno la maggior parte dei primati delle chiese ortodosse: Bartolomeo di Costantinopoli, Cirillo di Mosca, Teofilo di Gerusalemme, Crisostomo di Cipro e Sava di Varsavia, insieme, ovviamente, al patriarca serbo Irinej. A questi, si aggiungeranno vari arcivescovi, vescovi e delegati di altre Chiese ortodosse, insieme ai rappresentanti delle Chiese orientali non-calcedoniane (come, ad esempio, il Patriarcato copto-ortodosso di Alessandria d’Egitto), delle Chiese riformate e del Vaticano.
Proprio un anno fa, durante la preparazione del meeting, il Santo Sinodo della Chiesa serba oppose un netto rifiuto alla presenza del pontefice romano, mettendo in difficoltà il patriarca Irinej che si era pubblicamente dichiarato a favore. Il nodo ufficiale irrisolto rimaneva quello della preghiera sulla tomba del cardinale Alojzije Stepinac, che Benedetto XVI aveva annunciato proprio per la sua andata in Serbia. Ad ogni modo, una delegazione ambrosiana guidata dall’arcivescovo di Milano Angelo Scola ha visitato la Serbia per celebrare l’editto costantiniano dal 20 al 22 settembre scorsi, incontrando anche Irinej nella sede del Patriarcato.
Il meeting di ottobre, però, avrà come protagonisti i primati ortodossi. L’influenza del patriarca russo Cirillo sulla Chiesa serba è forte; circa un anno fa, proprio Irinej aveva ammesso il niet opposto dal suo omologo russo sulla presenza del pontefice romano in Serbia. Comunque, in questo caso saranno rispettati i ruoli storici: il momento clou del meeting costantiniano sarà guidato dal patriarca ecumenico Bartolomeo, con la Divina Liturgia che presiederà domenica 6 ottobre davanti alla nuova chiesa dei Santi Costantino ed Elena di Nis, città natale dell’imperatore romano.
Le distanze e i conflitti tra i primati ortodossi, però, rimangono; tanto che il meeting rischia di essere una semplice convention di alti dignitari ecclesiastici. Il grande fallimento, infatti, consiste nell’aver mancato di organizzare anche solo un momento di dibattito formale tra i soli rappresentanti ortodossi.
A destare curiosità è soprattutto l’incontro, se avverrà, fra i due primati “maggiori”: il patriarca di Costantinopoli e quello di Mosca, dopo che Bartolomeo si è rifiutato di partecipare ai festeggiamenti in Russia, Ucraina e Bielorussia per i 1025 anni del Battesimo della Rus’, all’inizio di agosto. A questo si è aggiunto un forte incidente diplomatico: la delegazione costantinopolitana è stata ritirata prima della fine dei festeggiamenti a causa di una brutta sorpresa: i diplomatici, dell’esarcato di Costantinopoli per le chiese russe in Europa occidentale, si sono incrociati con il metropolita Tichon, a capo della Orthodox Church of America, chiesa che il Patriarcato di Costantinopoli non ha mai riconosciuto ufficialmente, al contrario delle altre chiese ortodosse. Nonostante i rappresentanti di Costantinopoli siano rimasti alla concelebrazione nella Chiesa del Salvatore di Mosca, hanno poi ritirato la loro presenza, rifiutandosi di concelebrare anche a Kiev e Minsk, dove i festeggiamenti si sono conclusi.
Il conflitto tra Mosca e Costantinopoli, però, ha avuto anche un risvolto pressoché personale tra i due patriarchi, e neanche di alto livello. Cirillo, infatti, dopo le celebrazioni nella cattedrale moscovita ha fatto distribuire un testo in solidarietà ai cristiani perseguitati nel mondo, chiedendo ai primati presenti di firmare. L’azione ha irritato non poco Bartolomeo, il quale non era stato neanche informato di tale intenzione: così, tanto i rappresentanti del trono ecumenico che quelli della chiesa d’Albania, facente capo a Costantinopoli, si sono rifiutati di firmare. È evidente che Cirillo di Mosca, a capo di una chiesa potente e oltremodo ricca, tenta da anni di ritagliarsi un ruolo egemone sia nella galassia ortodossa quanto sulla scena globale dei leader religiosi. Questo richiede freddezza e affronti tanto verso la Santa Sede romana che verso quella costantinopolitana, da dove il patriarca Bartolomeo evidentemente non sta al gioco. A questo punto, alcuni si aspettano una prossima “mossa” di Bartolomeo, e la scacchiera potrebbe essere proprio la festa serba.
Bisogna tenere da conto anche le recenti prese di distanza dal movimento ecumenico del Patriarca di Costantinopoli. L’evento costantiniano, infatti, è anche un momento di incontro fra diverse confessioni cristiane. Lo scorso 21 settembre, in occasione di una visita a Istanbul del patriarca bulgaro Neofito, Bartolomeo ha dichiarato pubblicamente: “Noi non stiamo tradendo l’Ortodossia, come qualcuno ci accusa di fare. Né appoggiamo concezioni ecumenistiche, ma proclamiamo agli eterodossi e a tutti la verità dell’Ortodossia”.
Ad un pubblico occidentale dichiarazioni del genere possono apparire strane, data la frequente presenza di Bartolomeo in Vaticano, ma rappresentano bene la “doppia retorica” di Costantinopoli in merito all’ecumenismo. Il Patriarca, infatti, deve comunque fare i conti con un popolo di laici, chierici e monaci ortodossi, soprattutto in Grecia, che, tanto nelle giurisdizioni “in resistenza” e vecchio-calendariste quanto nelle Chiese storiche, sono contrari al movimento ecumenico. Proprio sul monte Athos, Bartolomeo ha il fronte aperto dal monastero di Esphigmenou, contrario all’ecumenismo, che dal 2009 resiste anche con molotov e lanci di pietre ai tentativi patriarcalidi sfrattare manu militari i monaci che rifiutano di commemorare Bartolomeo. La protesta, iniziata nel 1967 per una visita a Istanbul di Paolo VI, va ancora avanti e conta anche un morto: un monaco venticinquenne ucciso dalla polizia nel 2009 mentre tentava di procurare i viveri ai confratelli barricati nell’edificio.
C’è, inoltre, la questione romena. Il Patriarcato di Bucarest non è stato invitato alle celebrazioni costantiniane: a pesare è l’annosa questione delle minoranze valacca e romena in Serbia, per la maggior parte addossate al confine con la Romania. Sembra un assurdo, ma valacchi e romeni possono considerarsi due differenti minoranze etniche in Serbia: gli uni considerano come la propria madrepatria Belgrado, gli altri Bucarest. Anche da un punto di vista statistico sono tenuti separati: i romeni sono 31 mila, i valacchi 41 mila. La questione è uno degli spettri ingombranti della nostra Europa: solo il 28 marzo 2012 la Romania ha tolto il suo veto sull’ingresso nell’Unione Europea della Serbia, accusata in passato di violare i diritti civili delle due minoranze. Se da un punto di vista politico la questione sembrerebbe risolta, non lo è dal punto di vista ecclesiastico. Sebbene, infatti, valacchi e romeni di Serbia appartengano rispettivamente alla diocesi serba e a quella romena, Belgrado accusa Bucarest di aver sconfinato anche in territori dove vivono cittadini di etnia serba.
E’ dunque un’Ortodossia divisa, conflittuale, ambigua quella che si presenterà a festeggiare in Serbia i 1700 anni dell’Editto di Milano.
Un’Ortodossia “ufficiale” che, dopo le violenze subite nel Novecento, non ha ancora fatto i conti né con il Secolo Breve, né con la modernità, né tantomeno con se stessa. L’evento si prospetta, nel migliore dei casi, come una kermesse di alti dignitari ecclesiastici con mezzi sorrisi e strette di mano. Quegli stessi primati che non riescono a venire a capo delle mille lotte personalistiche e interessate che li dividono. Il panorama attuale dell’Ortodossia tutta, infatti, sembra davvero quello che si prospetterebbe dopo una grande esplosione, in cui è estremamente difficile, se non quasi impossibile, ricomporre tutti i pezzi in un unico corpo.
Sursa:http://vaticaninsider.lastampa.it/
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